La storia di un ragazzo e della sua famiglia che si intreccia dunque con quella che caratterizzò la vita di un’intera popolazione, che cominciava allora a prendere coscienza e consapevolezza della propria esistenza.
BAGASC, L’ULTIMO LIBRO DI ALESSANDRA COTOLONI
Armando Editore
Il “bagascio” a Carrara era il ragazzino che dai 9 anni di età fino agli 11 circa, aveva il compito di portare l’acqua ai cavatori, Bagasc è la storia di uno di questi ragazzini, del suo rapporto con le Alpi Apuane,della sua famiglia di cavatori e dell’amicizia fraterna che instaura con un altro bagascio “il Secco”, che come lui scorrazza sui monti delle Apuane cogliendone a tratti la bellezza e al tempo stesso temendola per i numerosi episodi di incidenti spesso mortali che accadevano nelle cave.
La storia si sviluppa nell’arco di circa trent’anni a partire dall’inizio del secolo scorso e si snoda attraverso i vari mutamenti sociali che caratterizzò quel periodo. In primo piano le lotte operaie dei cavatori per ottenere migliori condizioni di vita, con la Camera del Lavoro che, assieme ad anarchici , socialisti e repubblicani, agì in difesa dei loro diritti, fino a toccare la prima guerra mondiale e le conseguenze che scaturirono, in fatto di povertà e disoccupazione, in tutta questa zona, per poi concludersi con l’avvento del fascismo e l’impresa dello scavo e trasporto del titanico monolite per realizzare l’obelisco dedicato a Mussolini e posto nel foro imperiale a Roma.
La storia di un ragazzo e della sua famiglia che si intreccia dunque con quella che caratterizzò la vita di un’intera popolazione, che cominciava allora a prendere coscienza e consapevolezza della propria esistenza.
Vedi cv di Alessandra Cotoloni
ESTRATTI
Quel giorno il marmo sottratto alla montagna era invece risultato uno delle migliori partite degli ultimi tempi. Bianco come il latte, nessuna venatura, statuario, ottimo per l’Accademia di Belle Arti, dove sicuramente qualche illustre artista stava aspettando proprio quel blocco per estrarre dal suo interno la bellezza racchiusa. Era proprio nella cava dove lavorava il Biondo, il cavatore che dava sempre fastidio a il Secco, che quel masso si era staccato dal monte.
Il giorno dell’imbracatura era arrivato. La fune di canapa con dentro il ferro per rendere il cavo più resistente lo avevano meticolosamente rigirato intorno all’immenso blocco di venti tonnellate e fermato dalle braghe. Da qui la fune si dipanava per la lunghezza necessaria per rigirare intorno ai piri lungo la via di lizza. La compagnia di lizza contava dieci operai. Il sapone era pronto e pronti a insaponare i parati per far scivolare il masso fino al punto in cui la marmifera sostava. In quel punto avrebbero disposto il gigante sul vagone per trasportarlo definitivamente a valle al poggio caricatore.
Il sole rischiarava l’intero paesaggio, mentre le piccole formiche si muovevano operose intorno alla pesante briciola conquistata. Cominciò la voce del capo lizza a intonare il suo canto.
Era una litania, sempre la stessa, intervallata dal giusto silenzio necessario, durante il quale la fune mollata dai “mollatori” seduti intorno alle pire, fendeva l’aria mentre il blocco di marmo, si calava per qualche metro. Ancora di nuovo tutto fermo, il tempo giusto per mettere i parati, rimasti dietro il masso calato, di nuovo davanti alla gigantesca briciola. Poi ancora la voce del capo lizza che intonava la sua litania e ancora la fune 55 si calava. Un gioco di ritmi, di concentrazione e coordinazione di movimenti. Tutto sotto controllo, il peso calibrato affinché il masso procedesse regolare la sua marcia, senza rischiare pericolose inclinazioni, tutto scandito da tante piccole azioni connaturate quasi ormai a quelle braccia, che con forza trattenevano le funi per poi lasciarle calare al segnale del capo lizza. E i corpi di tutti protesi in un affannoso gioco di equilibri, così fragili che non permettevano distrazioni. Formiche intorno alla grande conquista. E così era da decenni.
Tutto scorreva con regolarità, il ritmo cadenzato dei movimenti misurava un tempo che pareva infinito. Attimi intensi in cui scompariva il contorno del paesaggio e gli occhi si concentravano solo su quelle funi, che trattenevano il gigante e sui movimenti sincronici che tutti, esperti, compivano con estrema cura e attenzione. Bastava la distrazione di uno soltanto perché potesse accadere il peggio.
Un rapporto di totale fiducia fra tutti generava un lavoro ben fatto e sicuro. Ma non fu così quel giorno.